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e di piante rampicanti. L’arco sopra la fonte di stile arabo, è notevole per ornati e per rabeschi di gusto originale, e fantastico. Le pitture a fresco, ed i mosaici che rappresentano palme, ramoscelli d’olivo, figure di arcieri, e di pavoni, sono d’origine normanna; come parimenti di origine normanna si è l’iscrizione cufica, sulla parete, riprodotta dall’orientalista Morso nel suo Palermo antico, non che dal de Sacy; mentre risale agli Arabi l’iscrizione, diventata illegibile, in cima al palazzo.
La fonte, dal portico sgorgava in una bella vasca, la quale sussisteva tuttora nel 1626 e di cui fa parola il monaco bolognese Leandro Alberti, nella sua descrizione dell’Italia e delle isole adiacenti. Trovavasi in faccia al portico, di forma rettangolare, della lunghezza di cinquanta passi, ed era rivestita tutta di muro lavorato con diligentissima commettitura. Sorgeva in mezzo alla vasca un piccolo edificio grazioso, al quale si aveva accesso per mezzo di un ponticello in pietra, ed in cui esisteva una saletta a volta, lunga dodici passi, larga sei, con due finestre, dalle quali si potevano vedere i pesci guizzare nella vasca; di là, dice Alberti, si entrava in una bella stanza destinata alle donne, con tre finestre ad archi doppi, sostenuti nel mezzo da una collonnetta di marmo.
Parecchie scale portavano al piano superiore del palazzo, dove esistevano varie stanze a volta, con colonne ed archi di stile arabo; e nell’interno trovavasi un cortile a porticati. Tutto quanto l’edificio era coronato di merli. La magnificenza delle sale colle pareti rivestite di mosaici, con pavimenti in marmo ed in porfido a colori svariati, doveva essere notevole. Se non che Alberti trovò di già la Zisa ridotta a tale stato di rovina, che prorompe in queste parole malinconiche «per verità, io non credo possa esistere animo ben fatto, il quale all’aspetto di questo bello edificio già in parte rovinato, in parte minacciante rovina, non provi un sentimento di profonda compassione». Quanto non doveva essere bella questa villa ai tempi degli emiri, dei Normanni, di Federico, sotto questo splendido