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na; desso eresse nel duomo di Monreale il più bel monumento alla sua famiglia, e contemporaneamente uno dei più bei monumenti dell’architettura del medio evo. L’opera venne compiuta in sei anni dal 1170 al 1176 e la fama della sua bellezza non tardò ad allargarsi alle più lontane regioni. Fin dal 1182 il Papa Lucio II innalzò Monreale alla dignità di Arcivescovado, e parlando nella sua bolla di re Guglielmo, così si esprime: «In brevissimo spazio di tempo, seppe innalzare al Signore Iddio un tempio meraviglioso, dotandolo di castella, di rendite, di libri, di arredi sacri, riccamente ornati d’oro e di argento, finalmente chiamò colà buon numero di monaci dalla Cava, fornendoli di abitazione e di ogni cosa occorrente, in guisa che non fuvvi dai tempi i più remoti altro re, il quale abbia compiuta cotanto grande opera, di cui la sola descrizione genera meraviglia.»

La chiesa di Monreale ha qualcosa di veramente singolare. Si direbbe che, ivi, in vicinanza dell’Africa, fra quelle belle piante aromatiche e bizzarre, fra le palme, gli agavi, gli aloe, sotto quello splendido cielo meridionale, il Cristianesimo abbia ricevuta un impronto particolare, fantastica.

L’architettura del duomo è capo d’opera dello stile ecclestico normanno siculo, il quale riunisce in sè i tre tipi greco-bizantino, latino, ed arabo. I Normanni, i quali venivano dall’Occidente dove predominavano le forme della basilica romana, trovarono in Sicilia, sia le tradizioni bizantine, siano quelle saracene. L’isola era stata posseduta vari secoli dai Bizantini, la lingua dei Siciliani era greca, greco il loro culto, greca pure pertanto la forma delle loro chiese. Erano caratteristici di questa la pianta quadrata, l’abbondanza delle cupole; il santuario elevato in forma di triplico ovale, simbolo della Santissima Trinità, imperocchè a fianco del coro stavano due cappelle meno elevate, di forma emisferica, a sinistra la protesi per la preparazione al sacrificio, adestra il diaconico, destinato ai diaconi ed alle loro letture. Anche i Bizantini solevano ornare di mosaici le volte, gli archi, le pareti delle loro chiese.

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 17