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Caduta allora Agrigento, tutta quanta la Sicilia venne in possesso dei Romani, correndo l’anno 211.

Scompare d’allora in poi dalla storia, dove più non trovasi registrato il suo nome, la bella città di Empedocle e di Terone. Nel tempo dei Greci uomini illustri erano sorti nelle sue mura, e dei principali rimane memoria. Furono Empedocle, Pausania, Acrone filosofo, oratore e medico; Proto discepolo di Gorgia, Dinoloco autore di commedie, e discepolo di Epicarmo; Carchino poeta tragico. Face architetto; Metello che fu maestro a Platone nella musica; Fileno storico; ed anche nei suoi tempi più miseri, allorquando la rapacità di Vetre spogliava la decaduta Agrigento de’ suoi ultimi tesori dei quali andava dessa debitrice alla generosità del conquistatore di Cartagine. Sofocle onorava la sua patria e sè stesso, difendendo davanti ai Romani la prima, contro quell’esoso ladrone.

E da presumere che dopo l’ultima conquista Agrigento si ristrinse sul monte Camico, dove tuttora sta Girgenti, e dove dura da oltre due mila anni, nella prospera come nell’avversa fortuna. Nell’anno 825 se ne impadronirono i Saraceni successori dei Cartaginesi, e venuti dessi pure dai lidi Africani. L’ultimo loro emiro fu di là cacciato dal conte Ruggero nell’anno 1086. D’allora in poi Agrigento divenne feudo di famiglie nobili, e man mano sempre più decadendo, si ridusse al numero attuale di circa sedici mila abitanti.

Giacciono nei campi deserti appiedi dell’attuale Girgenti, gli ultimi avanzi della grande Akraga, quei tempii dorici, i quali ad onta del tempo e della rabbia degli uomini trovansi tuttora in istato di sufficiente conservazione, mentre quelli non meno stupendi di Selinunte sono totalmente rovinati, mentre di altre città già fiorenti dell’isola, come di Gela la frugifera patria di Eschilo, di Kamarina, d’Imera, non rimangono più vestigia, e mentre dei tempii stessi di Siracusa non sussistono reliquei, le quali si possano paragonare a quelle di Agrigenti.

Di queste rovine intendiamo ora fare un cenno.