Pagina:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu/173

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iii - panuccio del bagno 163

poi veggio e sento che nel me’ podere
non si riten di ciò che dipart’omo,
ciò è ragion da fera: o lasso! como
ne son diviso e tralassato intero,
55e seguitando voler tanto fero,
quale tuttor seguir mi’ alma pena!
Per che mia vita, dico, è più ferale
che d’animale alcun, perché natura
segue, ma pure in me tanto ismisura
60che fuggo e lasso lei, seguendo ’l contra.
E d’aver signoria non già fui contra,
somettendoli arbitro e mia franchezza;
unde, più ch’aggio ditto, in me gravezza
di greve pene agiunt’anche ogne male.
65Poiché mi sembra e che ’l conosco fallo,
perché non, lasso, in ciò, rimedio prendo?
E no m’ofender più ove m’ofendo,
partir mia voglia di tal signoria?
Dico che ’n farlo in me non ho bailia,
70poich’a ciò falso plager mi congiunse,
che d’anima e da cor vertù digiunse
e ciascuna potenza senza fallo:
perché ’mpossibil m’è farne partenza,
che ’l mio volere a ciò è sottoposto,
75e di maniera tale son disposto
che d’alcun qualsia bene i’ non ho segno:
e conosco a ragion di ciò son degno.
Ma non mi dol però meno ’l tormento
ch’eo doloroso pur languisco e sento
80e che porti conven cor di doglienza.
Provato folle, me dico, simiglia
chi segue ’l suo dannaggio e ha ’l prò contra:
e ’n me quel che contat’ho sovra ’ncontra,
perch ’alcun sia più ch’eo folle non credo,
85poich’eo non presi, allor potea, rimedo,
e di quel ch’ora seguo maggiormente