Pagina:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu/206

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196 iii - i rimatori pisani

poi prender gioia e del lor cantan male
e danno laude a chi tanto li sconcia,
cioè Amor, che non stanchi si veno
di coronarlo impero d’ogni bene,
25e senza lui non mai nullo pervene,
dicon, a cosa poss’avere onore:
unde cotal discende loro errore
di lassarsi infrenar di si reo freno.
Non venosi gecchiti di laudare
30il folle e vano amor, d’ogni ben nudo,
li matti che si covren del su’ scudo,
il qual mandi’ è che di ragnuolo tela
e che li porta isportando a vela.
Mettonsi ’n mar, creden giunger a porto;
35poi s’è che nel pereggio gli have accorto,
alma fa, corpo e aver, tutto affondare.
D’onne, donque, reo male è fondamento.
Poi tutto tolle bono e ’l contrar porge,
come la gente non di lui s’accorge
40a prender guardia dei suoi inganni felli,
eh ’a Dio li fa ed al mondo ribelli?
Meraviglia grand’è com’ei no è spento.
Tal laudator lor pòn far plager reo
di donar pregio ad un cotale Amore,
45che tutto trappa bene e dà dolore;
non già me coglieranno a quella setta.
Alcuna fiata fui ’n sua distretta,
non si disposto, che m’avesse acchiuso
ch’eo non potesse giù gire né suso,
50né suo serv’era, né signor ben meo:
unde m’accorsi del doglioso passo,
ove m’avea condutto e conducia,
che parenti ed amici avea ’n obbria
e quasi Dio venia dimenticando.
55Per che nel tutto gli aggio dato bando,
non più dimorovi né prendo stasso.