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50 ii - i rimatori lucchesi

meo foco non alluma,
ma quanto più ci afanno men s’apprende.
E non risprende — alcuna mia vertude:
20avanti si conchiude,
siccome l’aire quando va tardando;
e come l’aigua viva
ch’alor è morta e priva
quando si va del corso disviando.
25Disvio si che bene
senior di me no aggio,
non saccio com’eo vivo si gravozo.
Oh Deo! che non m’avene
com’al leon selvaggio,
30che tutto tempo vive poderozo
e odiozo — sensa pietate,
acciò che ’n veritatc
lo meo greve dolor mostrar potesse
e la mia pena agresta
35per opra manifesta,
perché la gente mei me lo credesse?
Credo che non feràe
lontana dimoransa
lo core meo, che tanta pena dura:
40mentre che viveràe
sera fòr di speransa
d’aver giamai solasse né ventura.
Ma se natura, — che nd’ha lo podere,
n’avesse lo volere,
45appena mi poria donar conforto.
Como l’augel che pia,
lo me’ cor piange e cria
per la malvagia gente, che m’ha morto.
Morto fuss’eo pertanto
50o nato non fuss’eo
o non sentisse ciò ch’eo veggo e sento;
perché ’l meo dolse canto