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XXIV.


     Se ogni ingiuria mi fosse diletto,
E conversar col folle e col pesante,
E co’ gran parlatori essere usante,
E guarentare a’ ricchi ogni lor detto,

     E col superbo, scostumato e brodo
Quistïonar delle cose ignorante,
E degli avari fare il simigliante,
Stando a sentenza d’uom villano e stretto;

     Credo, che sì contento viverei,
Veggendo di siffatta gente i volti,
Ch’altro paradiso io non chiederei.

     Poi i cortesi, e que’ che non son stolti,
Tutti morisson, poco curerei,
Però che i morti non sarebbon molti.