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Sfavilla Anima mia del puro ardore
     Di chi formò le stelle, e gli elementi,
     Porgi le orecchie à suoi divini accenti,
     Lava del tuo fallir l’antico errore.
Troverai se ti penti in Ciel pietade;
     Che gravi sì le colpe tue non sono,
     Che viè maggior non sia l’alta clemenza.
Sì di Ninive già l’empia cittade
     Venuta del suo fallo à penitenza
     Hebbe del suo fallir grato perdono.


SONETTO CXCV.


I
O vissi un tempo (ond’hor meco mi sdegno)

Tiranneggiata da mortal desiro,
     E soffersi infelice il giogo indegno
     Di strano, e di gravissimo martìro;
E sì fui priva de l’usato ingegno,
     Che ’l proprio error non vidi, aperto hor miro
     D’Amor tiranno il micidial disegno,
     E di Fortuna il sempre instabil giro.
Hor che (la Dio mercè) pur veggio fuora
     Quest’alma de l’antico, e cieco errore
     Veggio anco il solco de’ gran falli suoi.
Tal nulla vede il Peregrin qualhora
     Di nebbia è cinto; e ’l tutto scorge poi,
     Ch’ei lascia à dietro il tenebroso horrore.


SONETTO CXCVI.


S
Gombrate quel desir, che ’ncende, e strugge

Egri mortali; (ahi) quella empia, e mendace
     Beltà, che tanto vi diletta, e piace
     Qual ombra infausta ogni buon seme adhugge.
Il sangue Amor qual serpe infetta, e sugge
     Perfido turbator di nostra pace.


O     3          Dunque