Pagina:Rime (Andreini).djvu/270

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     Lasso me la mia doglia
     Potria destar pietate
     Nei sassi, ne le piante, e ne le Fere,
     E destar non la puote in cor di Donna?
     Meno amar, anzi odiar quel, che più langue
     E, che più fido amando, e serve e tace
     E peccato in amor grave, ed enorme.
     Ma invan mi lagno, e doglio,
     Poic’hà di sordo, e d’indurato scoglio
     La mia Ninfa crudel le orecchie, e ’l core.
     Coridon che fai più? che badi, ò pensi?
     Muori, deh muori homai,
     Ch’è don dato dal Cielo, e don felice
     Il terminar à tempo la sua vita.
     Vedi misero te, che ’n tanti mali
     Addolorato vivi,
     Che sarà la tua morte
     O ’l tuo bene maggiore, ò ’l minor male.
     Moriam, moriamo dunque,
     Nè si tardi al morire.
     In questa acerba età matura morte
     Mi sottragga a gli affanni.
     Tragga la morte mia
     Da que’ begli occhi il pianto,
     Poiche l’aspra mia vita
     Trar non potèo da l’anima gelata
     Di lei d’honesto amor pura favilla.
     Tutto al dolor mi lascio;
     E pria, che ’l Sol nel mare
     Chiuda con chiave d’or la propria luce
     De’ miei gravi martìri
     Troncherò con la morte il fertil seme;


E se ’l