Pagina:Rime (Andreini).djvu/269

Da Wikisource.

257

     Nel mio pianto la face,
     Ond’ardo, e non hò pace.
     M’hà formate di cera due grand’ali,
     Con le quali à sua voglia alto mi leva,
     Perche distrutte poi
     Da’ raggi del mio Sole
     Repente io caggia nel profondo Abisso
     De le mie gravi pene;
     Se poi levarmi io tento,
     Egli con fiera mano
     A ricader di novo mi costringe,
     Onde invan m’affatico, e sudo invano
     Per ritrovar salute.
     Per lui cangio sovente
     Color, ma (lasso me) non cangio mai
     De l’ostinato core
     L’empia ostinata voglia.
     Ei vuol, ch’à meza notte io brami il giorno,
     E come appar nel Cielo
     La rosseggiante Aurora,
     Da le Cimerie grotte
     Vuol, ch’io chiami la notte;
     Poscia egualmente vuol, che notte, e giorno
     Mi spiaccia, ed egualmente
     Mi dia la notte, e ’l giorno angosce, e guai.
     Ma tù potresti ben trarmi di pene
     O mia Nigella amata
     Col mostrarmiti grata.
     Deh piega il cor altero
     A gli honesti miei preghi.
     Ahi dispietata Ninfa
     Per te sospiro, ma sospiro invano.


R               Lasso