Pagina:Rime (Andreini).djvu/57

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Mi sento venir men più d’hora in hora,
     Anzi giunger al fin de la mia vita,
     Tanto cresce ’l desio, che m’innamora.
Chi fia che possa darmi breve aita,
     Se nel partir del mio vivace Sole
     E l’aura mia vital da me partita?
Mi stanno al cor l’angeliche parole,
     E l’accorte maniere, e ’l dolce riso,
     Tal che di rimembrar mi giova, e duole.
Ahi mentre penso, che da me diviso
     T’hà l’empio Amor, perch’io morendo viva
     Piovommi amare lagrime dal viso.
Io vò cercando ogn’hor di riva in riva,
     Nè trovar posso l’amoroso obbietto,
     Di cui convien, che ’n tante carte scriva.
Movono fieri assalti à questo petto
     Noiose cure, e sol mi resta (ahi Fato)
     Lagrimar sempre il mio sommo diletto.
S’io temo, che ’l mio ben mi sia ’nvolato,
     S’io temo, ch’egli altrove pieghi ’l core
     Questo temer d’antiche prove è nato.
Spero s’havrà pietà del mio dolore,
     Ch’è sovr’ogn’altro dispietato, e fiero
     Ove sia chi per prova intenda amore.
Ben veggio (lassa) e non m’inganna il vero,
     Che già gran tempo io posi per costui
     Egualmente in non cale ogni pensiero.
Mentre vivendo in potestate altrui
     Potei godere il desiato volto
     Tremando, ardendo assai felice fui.
Ma poi, ch’à gli occhi il grato cibo è tolto,
     Nè senton quest’orecchie i cari accenti


Quan-