Pagina:Rime (Andreini).djvu/58

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     Quant’io veggio m’è noia, e quant’io ascolto.
Forman le voci mie gravi lamenti,
     E ’ntanto questi abbandonati lidi
     Vò misurando à passi tardi, e lenti.
Quest’aria ’ngombro di noiosi stridi,
     E gli occhi volgo per mirar s’io veggio
     Luoghi da sospirar riposti, e fidi.
Se vinta dal dolor piango, e vaneggio,
     S’io vivo sempre in amorosi guai
     La mia Fortuna che mi può far peggio?
Deh cessa Amor di travagliarmi homai,
     Rivolgi altrove il tuo dorato strale,
     Ch’io mi pasco di lagrime, e tu ’l sai.
Il tanto seguitarmi al fin che vale?
     Deh lascia il tormentarmi à que’ begli occhi,
     Che ’l foco del mio cor fanno immortale.
Par ben, ch’ogni sventura à me sol tocchi,
     Ond’à ragion quest’Anima dolente
     Avvien, che ’n pianto, ò ’n lamentar trabocchi.
Quando respirerà mia stanca mente?
     Quando fia mai, che riveder io speri
     Gli occhi, di ch’io parlai sì caldamente?
Occhi del mio morir ministri fieri
     Non vi celate, ò ’n tanta guerra almeno
     Datemi pace ò duri miei pensieri.
O quanta invidia porto à quel terreno
     Dove risplendon quei vivaci lumi,
     Che fanno intorno à se l’aer sereno.
Bench’amando, e servendo io mi consumi,
     Amerò, servirò lunge, e dappresso
     Mentre, che al Mar discenderanno i fiumi.


Che