Pagina:Rime (Cavalcanti).djvu/38

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Sonetto XII.

Bench’i’ ne sia alquanto intralasciato ....


Il poeta dunque non tenne sempre continua la sua opera, ma vi attendeva a sbalzi: ciò verrebbe a schiarire l’apparente mancanza di continuità che è fra alcuni sonetti ed a provare maggiormente che l’esordio e la chiusa li racchiudono tutti insieme, anche se fra essi dura qualche distanza. Così qui in seguito a due sonetti di lode a la donna sua egli si rammenta:

Sonetto XIV.

I’ sono alcuna volta domandato:
risponder mi convene che è amore . . . . .

Questi sonetti vari e racchiusi in un tutto solo riescono così a dare l’impressione di un trattato non totalmente scolastico, ma intramezzato di esempi lirici, quasi fatto più vivo da un certo movimento dramatico. Ciò sarebbe in relazione con l’ipotesi che questa sia un’opera giovenile, scritta cioè da un poeta in quella età, in cui la mente fantastica non rimane stretta a la disciplina della discussione fredda, ma la anima spesso di sentimenti propri od osservati in altrui: spesso l’impeto lirico soverchia il lento andare filosofico e didattico. A la domanda: — che è amore? — il trattatista risponde:

Amore è un solicito pensero
continuato sovra alcun piacere
che l’occhio à rimirato volontero,
sì che imaginando quel vedere
nasc’indi amor ched è signore altero
nel cor ch’ò detto, ch’à gientil volere.

Queste discussioni d’amore erano comunissime. Ne aveva trattato il Guinicelli, ancor prima di stabilire la gentilezza delle anime amorose1 ed avevano contrastato Chiaro Davanzati e fra Pacino di ser Filippo per istabilire se amore è dio2. Fra Guittone pure ne aveva detto l’origine3 e l’aveva definito con

  1. Canzone: «Con gran disio pensando lungamente» (Casini - Poeti bolognesi etc., - Romagnoli, pag. 13).
  2. Chiaro Davanzati:

                             .... e’ ven de lo vedere e d’udienza
                             e di pensiero ed anco di sagiare:
                             fermasi quando vene lo piaciere

    (Ca: CCCLI - ed. D’Ancona e Comparati cit.).

  3. . . . . . Che de cosa plangete
    saven de virità ch’è nato amore       (Laur. Red. 9 - f. 61. a).