Pagina:Rivista di cavalleria (Volume IX, 1902).djvu/511

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rivista di cavalleria 504


Ad ogni modo l’aver detto a pag. 92 che nella cavallerizza non si deve far uso della frusta, non vuol dire averla assolutamente prescritta e nessuno griderà certo il crocifige contro quell’ufficiale che, in casi speciali e con parsimonia, sappia impiegarla intelligentemente.

Nell’esprimere il mio modesto parere intorno al nuovo regolamento dissi che: salvo insignificanti dettagli ed un piccolo neo del quale avrei parlato più innanzi, esso è riuscito, dirò così, perfetto perchè risponde per forma e sostanza allo scopo che si voleva raggiungere.

Dei piccoli ed insignificanti dettagli non essendo il caso di parlarne perchè costituiscono lievi questioni di forma e perchè le autorità incaricate di riferire ad esperimento finito non mancheranno di segnalarli, colle relative proposte, vediamo ciò che a mio modo di vedere costituirebbe un neo:

A pag. 1 nella premessa è detto che:

«Tutto ciò che non ha relazione coll’impiego in guerra deve essere escluso dall’insegnamento.»

Ammesso che questo principio non si possa, nè si debba discutere, è certo che il nuovo regolamento è riuscito quanto di meglio si poteva desiderare, tecnicamente parlando.

Ammesso, però, che si possa discutere, contrapponendovi l’altro che lo scopo primo della guerra è la vittoria, la quale non si consegue colla sola abilità tecnica, ma con molteplici altri fattori, primo fra i quali il sentimento profondo della disciplina, il nuovo regolamento presenta una lacuna, quella, cioè, di aver fatto astrazione di quanto può servire a mantenere la recluta in un ambiente nel quale ogni atto contribuisca, di pari passo coll’educazione morale, a far nascere e sviluppare quel supremo fattore.

La lunga pratica col soldato mi hanno convinto che il vero sentimento della disciplina non penetra nelle masse che in minima parte colla lettura dei regolamenti, i discorsi e l’esempio, ma nasce e si sviluppa col progressivo svolgersi delle istruzioni tecniche affermandosi profondamente quanto più profonda è la convinzione che viene dall’abito di vedere in ogni atto, consiglio, suggerimento o rimarco di chi fa l’istruzione, non il pedagogo, ma un’autorità superiore di natura ben differente da quella conferita agli insegnanti in genere ed alle autorità, che si apprende a rispettare da cittadino.