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drago crestato, fatta eccezione per questi del solo fiorino dalla corona che gli lascio ancora per poco.

Il fiorino di Bernabò e Galeazzo dimostra come i due Visconti osservassero un’assoluta e rigida eguaglianza nel manifestare i contrassegni del loro grado: non tollerando la menoma prevalenza dell’uno sull’altro: la riproduzione invariabile del cimiero mi fa eziandio persuaso che a quei tempi, più che nei successivi, i Visconti di Milano fossero costantemente fedeli alle divise presceltesi. Mi sembra poi che l’osservanza esatta di questa regola tornasse tanto più necessaria in quanto nelle fazioni militari sarebbe tornato altrimenti impossibile distinguere la persona il cui capo era tutto nascosto nell’elmo.

Il cavaliere che figura nel fiorino dal tizzo, avente il drago a cresta in cimiero, sarà dunque non altri che Galeazzo Visconti. Pel contrario quello che porta il drago piumato e la corona, sarà un altro: e se così è, il secondo dei due fiorini attribuitigli non sarà di Galeazzo.

Galeazzo poi, solo di tutti i Visconti, avrebbe prodotto due tipi di fiorino, mentre gli altri ne hanno uno soltanto per ciascuno. Veramente non vedrei perchè egli non abbia potuto derogare alla regola comune; anzi mi si potrebbe osservare che (come opina uno strenuo e dottissimo conoscitore)1, il fiorino dal tizzone potendo essere di Zecca pavese, vi potrà pur essere il milanese di Galeazzo. Ma in allora questo suo fiorino avrebbe dovuto presentare gli stessi contrassegni personali che figurano nelle altre sue monete, come ne fanno prova i pegioni di Milano rispetto ai grossi ed ai pegioni di Pavia, cogli

  1. Brambilla, Monete di Pavia, pag. 379.