Pagina:Rivista italiana di numismatica 1890.djvu/564

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il mezzo zecchino di vasto 545

“ terata, aut deterior illa, quam cæteri vel Italiæ, vel Germaniæ Principes Divorum Antecessorum Nostrorum Romanorum Imperatorum concessione cudunt (ita ut nemo de ejusmodi cusione justam conquerendi causam habere queat) faciendi, atque cudendi, etc. etc. etc.”

Don Cesare D’Avalos, tuttavia, come altri neo-principi italiani di quel tempo, non approfittò della facoltà accordatagli di erigere zecca propria, e si servi invece della zecca d’Augusta in Baviera, nella quale, come dice il Kunz1, “fece lavorare uno zecchino, un mezzo zecchino, un tallero ed un mezzo tallero. I coni del tallero servirono anche per alcuni pochi pezzi in oro”.

È vero che il Promis, nelle Tavole sinottiche parlando delle monete del Vasto, aggiunge di non aver “potuto conoscere dove esse siano state a lavorate”; ma, per chiarire esatta l’asserzione del Kunz, basta osservare che quasi tutte le monete di Cesare D’Avalos portano per distintivo la pigna, ch’è il segno di zecca, o meglio ch’è l’arme stessa della città di Augusta, e i ferri da cavallo, i quali pur si veggono sulle monete di quella zecca2.

D’altronde, già nel Catalogo della Collezione Reichel è annotato esplicitamente (e senza darne nessun

  1. Kunz C., Il Museo Bottacin annesso alla Civica Biblioteca e Museo di Padova, Firenze, 1871 (a pag. 145; — anche nel Periodico di Num. e Sfrag., Vol. III, pag. 26).
  2. Cfr. il Catalogo Wesener della Collezione Morbio (Monaco di Baviera, 1882), in cui, a pag. 258; nella descrizione del tallero di Cesare D’Avalos, è detto: «Unten neben dem Vliesse das Augsburger Stadtpyr und die zwei Hufeisen». (In basso, allato al Tosone, la pigna della città di Angusta e i due ferri da cavallo).