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istituita nella Grecia per provvedere a’ bisogni di que’ possedimenti.
Il Papadopoli si dichiara di contrario avviso, e riferendo le osservazioni fatte da Paolo Lambros e da Carlo Kunz, suppone invece che le medesime sieno state fabbricate dai piccoli principi franchi, che s’erano stabiliti sulle coste e sulle isole del Levante, ove con profitto imitavano le monete della Repubblica che da tutti erano allora tenute in sommo pregio. A questo genere di contraffazioni sono da ascriversi pure certi altri grossi piani, di provenienza orientale, che sono inferiori nell’intrinseco e talvolta anche nel peso ai veri veneziani, e non diversi sono i mezzi grossi che riproducono il tipo dell’intiero e che dalla Repubblica non furono mai coniati.
È ben vero che una legge del maggior consiglio del 1305, riportata dal Lazari, prescrive che a Corone e Modone, castella della Morea, si debbano fabbricare quelle specie di monete che sembrassero più acconce ad impedire i danni cagionati dal denaro messo in circolazione dai principi d’Acaja e di Romania. Ma mancano notizie che confermino se questo decreto sia mai stato mandato ad effetto. Piuttosto v’è da sospettare che già allora si avesse in mira la fabbricazione de’ torneselli, la quale fu incominciata appena negli ultimi anni di Andrea Dandolo.
I torneselli eseguiti a Venezia e non altrove, si avvicinano nel peso, nella forma e nel titolo a quelli di Chiarenza che in Oriente avevano il predominio per le esigenze del piccolo commercio. Da un lato essi mostrano la croce patente col nome del doge, dall’altro la leggenda VEXILIFER VENETIARVM e in luogo del castello hanno il leone alato di San Marco in quella posizione che fu detta dal volgo in molléca e con termine di zecca in soldo. Questa nuova moneta acquistò in breve tanto favore che, massime durante il principato di Antonio Venier, ne furono coniate ingenti quantità, per cui alla loro fabbricazione si dovettero preporre propri magistrati.
Quando al principiare del secolo XV la Repubblica estese i suoi domini dalla parte di terra ferma, furono presi molti provvedimenti atti a regolare il rapporto delle monete veneziane con quelle che avevano corso ne’ territori acquistati e con le monete estere. A Verona ed a Vicenza vigeva ancor l’antica lira veronese che era di un terzo maggiore della veneta; epperò nel 1404 fu fatto rivivere il mezzanino col tipo che aveva al tempo del doge Francesco Dandolo. Esso pesava un terzo del grosso ed era pari a 16 piccoli, ma equivaleva al soldo veronese; sicché in im documento lo si chiama: mezaninus venetus sive soldus de Verona. Inoltre furono introdotti de’ piccoli i quali presentano la croce perlata che divide l’epigrafe col nome del doge, e nel rovescio la testa di San Marco