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contributo alla storia della moneta romana 309

un’oncia (gr. 27, 29). A questo riordinamento della moneta di bronzo va connessa una riforma di somma importanza, la quale vige in tutta l’epoca imperiale, fino a quando, per la crisi economica del III secolo, il bronzo acquista valore nominale. La riforma di cui parlo, accennata di sbieco soltanto da Plinio, benché nota a quanti hanno studiato le monete dell’Impero, non è stata presa nella debita considerazione, e perciò alcuni punti di quella monetazione sono rimasti finora oscuri. Le parole di Plinio sono queste: (Aes cordubense) a Liviano cadmeam maxime sorbet et orichalci bonitatem imitatur in sestertiis dupondiariisque, Cyprio suo assibus contcntis1. Donde emerge che nell’Impero il sesterzio e il dupondio erano di oricalco, l’asse di rame puro. L’oricalco al tempo di Augusto non è che il rame in lega con lo zinco (in seguito fu aggiunto anche un po’ di stagno) ha un colore giallognolo, quasi come l’oro, ed è lucentissimo. Per questa sua ultima qualità era molto apprezzato dagli antichi. Procopio dice che esso non era inferiore all’oro pel colore né all’argento pel valore2. Nell’editto di Diocleziano3 si legge che l’operaio guadagnava sulla libbra di oricalco un quarto di paga più che sulla libbra di rame4. Stante

  1. Plin., XXXIV, 2.
  2. De Aedif., I, 2.
  3. VII, 24 e 25.
  4. Dalle analisi di bronzi imperiali, fatte dal Phillips e dal Gobel e riferite dal Mommsen (Monn. Rom., t. III, p. 381 rileviamo che Augusto volle proprio migliorare la qualità di quel metallo, unendo in lega solo rame e zinco. Fino allora il bronzo repubblicano era una miscela di rame, stagno e piombo; dall’epoca dell’aes signatum, fino alla morte di Cesare, il bronzo romano ha questa lega: da 5 a 8 %, di stagno e da 16 a 29 % di piombo (Monn. Rom., t. I, p. 204). Qui cade acconcio notare che la parola bronzo, con la quale si sogliono indicare i sesterzii, dupondii ed assi dell’impero è inesatta, perché da Augusto