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contributo alla storia della moneta romana 317

porre che fossero semis sia pel segno di valore che avevano, sia perchè il semis di Nerone ha un peso di gran lunga inferiore, argomentò che queste monete fossero i veri e soli assi dell’impero e che tutti i medii bronzi fossero indistintamente dupondii1. Così veniva ad asserire che soltanto Nerone e Traiano coniarono assi nell’epoca imperiale e che la testimonianza di Plinio era falsa. Il Mommsen critica quest’opinione del Borghesi senza però sostituirne un’altra. È probabile, dice, che Nerone e Traiano i quali alterarono la moneta, anzi il primo si arrogò il diritto di coniare il bronzo, abbiano fatto egualmente diminuire il peso e il modulo delle monete di bronzo2. In tal modo il grande numismatico non solo non dissipa il dubbio, ma afferma cosa contraria al vero, per la ragione che i bronzi di Nerone sono di assai giusto peso.

La fitta nebbia che avvolge queste poche monete non potrà dissiparsi, se non si tien conto della qualità del metallo, alla quale nè il Borghesi nè il Mommsen nè alcun altro ha mai pensato. Notavo poc’anzi che esse sono di oricalco3, di quello stesso metallo dei dupondii e sesterzii, che valeva assai più

  1. Trascrivo le parole del Borghesi (ap. Cavedoni, Numismatica biblica, p. 132). " Conviene per altro concedere che l’Asse, dopo la caduta della libertà, fu poco in uso nella zecca di Roma, ed io non ve lo trovo stampato innanzi Nerone (Eckhel, t. VI, p. 282, a cui però si ha da aggiungere l’altro tipo con Roma sedente e l’epigrafe pontif . . . max . . . . etc), il quale imperatore, perchè forse dopo tanto tempo imitava parere una novità, vi fè segnare il valore monetale i, aggiungendo contemporaneamente, per distinguerlo, la nota ii al dupondio. Non lo incontro dipoi se non sotto Traiano col rovescio di un s. c entro una corona di lauro e la leggenda attorno dac . parthico . p . m . tr . p . xx . cos . vi . p . p. Quello che io conservo è del modulo 6 secondo il Mionnet, e quantunque bello, stenta a toccare i sette grammi „.
  2. Monn. Rom., t. III, p. 40 e 41, n. 2.
  3. V. nota 34.