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chiesa di s. Pietro, dove il Pontefice, ricevuto colle cerimonie di rito, impartì l’apostolica benedizione al popolo festante. Poscia, deposti gli abiti sacri, fu trasportato sulla sua sedia al pubblico palazzo nella piazza maggiore della città; dove al suo apparire, secondochè narra con enfatiche parole il predetto Grassi, al suono delle trombe, delle tibie e delle campane tutte della città e al rimbombo delle artiglierie pareva scindersi il cielo. In mezzo però a tanto frastuono e popolare tripudio, confuso tra la folla stava silenzioso un uomo in abito ecclesiastico, di aspetto grave e ammalaticcio, che più tardi doveva esser chiamato l’astro della Germania, il quale paragonando questo trionfo del Vicario di Cristo colla maestà degh Apostoli, che evangelizzarono il mondo, preferiva la grandezza di quelli al trionfale spettacolo, al quale egli assisteva, non senza mestizia1.

Per rendere più fastosa e lungamente memorabile la solennità del suo trionfo pensò Giulio a far coniare speciali monete d’oro e d’argento con leggende allusive all’avvenimento. Nei tempi antichi v’era certamente una regola determinata per la distinzione dell’uso dei due metalli in siffatte largizioni principesche. È Giustiniano istesso, che ce lo attesta nella centesima-quinta delle sue Novelle2: " Al solo imperatore spetta il privilegio di sparger l’oro sul popolo, imperocché a lui solo concede sprezzarlo l’apice della fortuna; ai consoli poi è dicevole poter far uso dell’argento, che è ciò vi è di più prezioso dopo l’oro „. Anche a’ tempi de’ Carolingi perdurava siffatta distinzione; perocché, avendo Clodoveo, a pompa della sua proclamazione, come patrizio

  1. Ex occasione loci, qui est in Ad. Cap. V, confero triumphos, quos me spedante Julius II egit Bononiae primum, post Romae, cum majestate Apostolorum, qui codesti dodrina converterent orbent, qui sic miraculis florerent, ut umbra sola sanarentur aegroti, et hanc magnificientiam Apostolicam praefero triumphis illis, in quos ipsos tamen nihil scribo contumeliose, iametsi, ut ingenue dicam, tum spedabam, non sine tacito gemitu. Erasmi Des. Op. omn. T, IX, col. 361.
  2. Soli enim aurum spargere damus imperio, cui soli etiam aurum contemnere praestat fortunae fastigium; argentum vero, quod mox post aurum pretiosissimum fiet, et aliis consulibus largimur decens; et haec sinimus eos spargere in his, quae vocantur missilia, etc.