Pagina:Rosselli - Scritti politici e autobiografici, 1944.djvu/58

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Lo Stato che noi vagheggiamo è lo Stato che voi Ticinesi vi siete dato. La libertà per la quale combattiamo è quella che voi conoscete. Questa libertà me la avete appresa ad amare, sin da bambino, quando mi entusiasmavo per Tell e disprezzavo in Gessler il Tiranno di tutte le epoche e di tutte le terre. Ricordo che allora nessuno mi fece osservare che Tell, rifiutando di togliersi il cappello dinanzi a Gessler, aveva violato, come certamente violò, regolamenti.

Ora in Italia la libertà — tutte le libertà — sono morte. Il popolo è diviso in due fazioni: da un lato una piccola minoranza armata che impera, dall’altro una immensa maggioranza che langue nella miseria fisica e morale. Nessuna possibilità di opposizione legale ci è rimasta. Non abbiamo più alcun diritto di critica e di controllo. Il Tribunale vorrà permettermi di citare la mia esperienza personale. Non perché essa possa avere minimamente concorso a determinare la mia opposizione — al contrario — ma perché questa mia esperienza può considerarsi tipica.

Avevo una casa: me l’hanno devastata. Avevo un giornale: me lo hanno soppresso. Avevo una cattedra: l’ho dovuta abbandonare. Avevo, come ho oggi, delle idee, una dignità, un ideale: per difenderli ho dovuto andare in galera. Avevo dei maestri, degli amici — Amendola, Matteotti, Gobetti — : me li hanno uccisi.

Purtroppo la mia esperienza è quella di infiniti

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