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sensualità, dalla loro svergognatezza, dalla loro superstizione. Bonifacio, ardendo d’amore per Vittoria, si sgomenta delle spese che occorrono per venirle in grado. Egli fa capo pertanto a Scaramure, finto stregone, che gli offre una immaginetta, la quale scaldata con certe cerimonie, dee valere ad ammollire il duro cuore di Vittoria. Dopo una serie non interrotta di pericoli e sventure, Bonifacio è arrestato da una finta pattuglia e costretto a ricomperarsi con gran denaro. Bartolomeo poi, dato alla ricerca della pietra filosofale, onde spera sommo incremento alle sue facoltà, è raggirato da un baro, che con una certa polvere di Cristo (Pulvis Christi) riesce a cavargli di mano qualche centinaio di scudi. Finalmente Manfurio, che fa la parte più rilevante, il più dileggiato, compone una lettera amorosa, un sonetto erotico, che Bonifacio ha in animo di mandare a Vittoria; fa poi molte dicerie latine ed italiane, così in versi come in prosa; ma con tutto il suo sapere perde pure il denaro e i vestiti e si guadagna un carico di bastonate. Manfurio si stima e si proclama una delle luci del mondo; con le opere e con le parole mostra non essere che un Candelaio. E tale è l’origine e la ragione del titolo della commedia.»

Il lavoro non è certo senza difetti, spesso vi abbondano le lungaggini e le ripetizioni, ma i caratteri sono felicemente tratteggiati, comiche le situazioni, vivace il dialogo. Spesso anche, fa duopo il dirlo, lo scherzo vi confina coll’osceno, ma noi dobbiamo pur pensare all’indole del secolo in cui visse Bruno: allora la corruzione era penetrata in tutte le classi sociali, sì che vediamo Leone X colla sua corte pontificia, assistere ed applaudire alla Calandrìa del Cardinal di Bibbiena e patrizi e dame ed alti prelati, accorrere al