Vai al contenuto

Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/113

Da Wikisource.
102 giulio cesare


Br. Cassio, non t’illudere: se i miei sguardi ti parvero più foschi, tal mutamento riverte tutto in me solo. Da qualche tempo fieri pensieri mi si aggirano pel capo, e a ciò solo attribuisci la freddezza con che rispondo agli amici.

Cass. Ben m’ingannai, allora, o Bruto, sulla natura de’ tuoi sentimenti, e tal errore m’induce adesso in alte meditazioni. — Ma dimmi, Bruto, puoi tu vedere il tuo volto?

Br. No, perocchè non è dato all’occhio il rimirar se stesso, senza esterno oggetto che a ciò lo porti.

Cass. Ed è quello che vuol deplorarsi. Oh avessi tu un cristallo che riflettesse ne’ tuoi sguardi le tue ascose virtù, e ti rendesse sensibile la tua immagine! Sovente nei ritrovi de’ primi cittadini di Roma io udii parlare di Bruto, e Cesare era assente. Doloranti sotto il giogo che opprime questa età, quanti desideravano che il nobile e valoroso Bruto avesse occhi per contemplarsi....!

Br. A che vorresti condurmi, Cassio, dandomi blandizie di pregi che in me non allignano?

Cass. Bruto, ascoltami; e poichè non vuoi vederti senza esterno sussidio, io ritrarrò la tua immagine, e ritrarrolla senza tema o adulazione. Non concepir di me verun sospetto, virtuoso cittadino; e quando mi vedrai recitare la parte di pubblico mentecatto, o esser prodigo d’amistà a quanti mi si paran davanti, allora, allora solo diffida di Cassio.

(s’intendono da lungi ripetute grida)

Br. Che significa ciò? Intenderebbe il popolo far di Cesare un re?

Cass. Temi ciò? Credo adunque che tu per re nol vorresti.

Br. Nol vorrei, no, Cassio, nol vorrei..... e l’amo..... l’amo teneramente. — Ma a che sì lungo discorso? Qual segreto hai da confidarmi? Se tale è, che risguardar possa il ben pubblico, metti innanzi a’ miei occhi da un lato l’onore, dall’altro la morte, e riguarderò sopra entrambi indifferente; perocchè così mi siano gli Dei propizi, come vero è che più amo il nome dell’onore, ch’io non tema la morte.

Cass. Nota mi è l’illibata virtù della tua anima, come familiari mi sono i nobili lineamenti del tuo viso. Ebbene, l’onore è appunto il soggetto di cui vo’ intrattenerti. Dir non potrei quello che tu o gli altri uomini pensino della vita; ma quanto a me, meglio stimerei il non essere, che il vivere per curvarmi dinanzi ad un mio eguale. Nacqui libero come Cesare; tu libero nascesti al par di lui. L’età svegliò in noi le stesse forze, e al par di lui, entrambi sopportar sapremmo i più rigidi inverni. — In un dì di