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atto primo | 103 |
tempesta, in cui il Tebro mugghiante batteva le romane sponde: Osi tu, Cassio (mi disse Cesare), osi tu slanciarti con me fra quei flutti bollenti, e valicarli a nuoto sino a quel termine lontano? Diceva ancora; e, vestito com’era, io già fendeva la rapida corrente, e lo incitava colla mano a seguirmi. Cesare non s’arretrò; ed entrambi allora ci diemmo a lottare contro il torrente precipitoso, che con gorgo possente tendeva a soverchiarci. Prima che al termine fermato fossimo giunti, Cesare gridò; Soccorrimi, Cassio, ch’io manco. Io, come Enea, magnanimo nostro proavo, che alle fiamme di Troia sottraeva l’antico padre, tolsi all’onde irritate Cesare..... il tolsi il salvai ed era quel Cesare stesso che oggidì quasi nume è fatto. — E Cassio vicino a costui non sarà che una vile creatura? e dovrà Cassio peritarsi innanzi a Cesare, se Cesare passando degna chinar lo sguardo...? Ma quest’uomo io vidi negl’iberici regni anelante di febbre, e pallido del terror della morte, e con quell’occhio spento, ch’ora abbaglia l’universo. Tremava... il Nume nostro allora tremava, e con quella stessa voce che comanda ai Romani, che lo ascoltano, e depongono ogni sua parola ne’ loro annali, gridava: Oimè Titinio, soccorrimi, soccorrimi, simile affatto alla più vil donnicciuola. Oh Dei! potrà sì debile atleta restar vincitore nell’arena in cui si contende l’impero del mondo? (nuove grida al di dentro)
Br. Novelle acclamazioni già s’odono. Oh! questi plausi annunzian certo gli onori che s’accumulano sul capo di Cesare.
Cass. E Romano, debb’egli percorrere l’universo lasciando, per tutto ceppi, o scavando sepolcri? Sonovi età, in cui gli uomini riescono arbitri de’ loro destini; e se schiavi noi siamo, la colpa è in noi soli. Bruto, Cesare. Che dunque v’ha di questo Cesare? Perchè un tal nome dovrebbe proferirsi con più solennità del vostro? Scriveteli l’un presso all’altro, e il vostro non verrà oscuro al confronto. Pronunciategli entrambi: il vostro è egualmente sonoro. Entrambi nella bilancia avranno egual peso, e i mani scongiurati da questi nomi, si mostreranno egualmente al suono di Bruto, come a quello di Cesare. Ora, in nome di tutti gli Dei, di quale sostanza si pasce codesto Cesare per esser venuto a tanta altezza? Secolo infame, in cui il seme de’ grandi inaridì! qual età più remota dovette il suo nome soltanto ad un uomo? Quando mai fu detto, parlando di Roma, che le vaste sue mure non racchiudevano che un uomo? Oh! dai nostri padri invece udimmo entrambi ripetere, che fu già un Bruto che prima avrebbe amato vedere uno spirito d’abisso intronizzato in Roma, che sopportarvi un re.