Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/216

Da Wikisource.

atto terzo 205


Cap. Darei in disperazione! Giorno e notte, ad ogni istante, in ogni tempo, fra qualunque negozio un pensier solo mi sorrideva, quello di vederla sposa. Ed oggi, che accoppiarla voleva ad un valoroso giovine, fornito d’ogni virtù, tal quale il pensiero lo poteva adombrare, eccola che risponde: Maritarmi non voglio... amar non posso... son troppo giovine... Sì, sì: se Paride non volete, ve lo perdonerò; ma a patto che di qui sgomberiate. Ite a viver dove volete; ma dimenticatevi di me. Pensate a ciò bene, e rammentate che non soglio parlar da giuoco. Giovedì è presso: interrogate la vostra coscienza. Se figlia mi siete, diverrete sposa di Paride: se nol siete, ite altrove, limosinate per le vie, morite maledetta di miseria e di dolore. (esce)

Giul. Non v’è dunque pietà in Cielo per me! Oh mia buona madre, non mi rigettate voi pure... compatite ai mali di questa derelitta... differite anche un mese, una settimana questo matrimonio; o, se nol volete, fate apparecchiare il mio letto nuziale sotto l’oscuro monumento in cui giace Tebaldo.

Don. Cap. Non mi parlate, che non vi risponderò. Fate a senno vostro: tutto è finito fra noi.     (esce)

Giul. Oh Dio!... oh nutrice! come ora riparare? Il mio sposo è sulla terra, la mia fede in cielo; e come riceverei più questa fede, se lo sposo mio stesso, morendo, dal cielo, non me ne rimettesse? Confortatemi... consigliatemi... Oimè, oimè! può il Cielo compiacersi nel tormentar tanto così debole creatura, quale sono io? Che di’ tu, nutrice? Non avrai una sola parola? non una speranza, non una consolazione per questa tapina?

Nutr. In verità, ecco la sola. Romeo è bandito; e scommetterei l’universo contro un obolo, ch’ei non oserà mai venirvi a reclamare come sua sposa; o se intendesse di farlo, sarebbe per vie oscure ed ascose. Posta così la bisogna, parmi che il miglior partito per voi sia di sposare il conte. Vi do fede ch’egli è un amabile cavaliere, e da far bene impallidir Romeo, ponendolo accanto a lui. Un’aquila, Giulietta, non ha l’occhio più acuto del suo, e, sul mio onore, credo sareste più felice in questa seconda scelta, che stata nol siate nell’attaccarvi ad un uomo da cui vi toccherà vivere sempre lontana.

Giul. Parli di buon senno?

Nutr. Vi favello coll’anima: e se vero non è, ch’io sia maledetta.

Giul. Amen.

Nutr. Di che?

Giul. Meravigliosamente mi confortasti, nutrice. Va ora; e