Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/272

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atto terzo 261


Cal. Oh! sì, mio principe: io te ’l farò trovar dormiente in luogo, dove potrai conficcargli un chiodo nella testa.

Ar. Tu menti: questo non puoi.

Cal. (a Trìnculo) Oh l’impronto! a che ne dà molestia? Io ti supplico, Altezza (a Stefano), di farlo stramazzar per terra, e di torgli quella bottiglia: tostochè ei più non l’abbia, se vorrà bere gli sarà d’uopo aver ricorso all’acqua dei paduli, essendo io fermo nel non volergli mostrare giammai dove sgorghino le fresche e limpide sorgenti.

Stef. Credimi, Trìnculo, tu pericoli... Se un’altra volta interrompi il mostro, sarò sordo ad ogni pietà; e questa mano ti farà giacere sopra un rude lenzuolo.

Trìnc. Ma che diss’io? nulla dissi. Orsù, me ne andrò lontano.

Stef. Non dicesti ch’ei mentiva?

Ar. Menti.

Stef. In buon senno? Abbiti queste intanto (lo percuote); e se l’assaggio ti diletta, smentiscimi un’altra volta.

Trìnc. Non mai vi smentii... Oh! perdeste voi pure l’udito e la ragione? Peste alla vostra bottiglia! Peste all’ebbrezza ed al vino! venga la morte al vostro maledetto mostro, e il diavolo vi serri strettamente le dita!

Cal. Ah, ah, ah!

Stef. Ora continua il tuo racconto; e tu vattene lontano.

(a Trìnculo)

Cal. Percuotilo ancora, percuotilo di più; fra poco io pure lo concierò a dovere.

Stef. Va anche più lontano (a Trìnculo); e tu prosegui.

(a Caliban)

Cal. Ebbene, come vi dissi, è suo costume dormire dopo il mezzodì. Allora tu puoi, impadronito che ti sia de’ suoi libri, fendergli il cranio, o dargli un colpo di clava sulla testa, o spararlo con un palo, o sgozzarlo con un pugnale; ma bada, tel ripeto, di impossessarti prima de’ suoi libri; privo de’ quali è un idiota come son io, e cessa d’imperare agli spiriti, che odiandolo mortalmente sono pur costretti ad ubbidirlo. Così facendo, sarai signore dei possedimenti suoi, de’ quali sopra ogni altro ti riescirà gradita sua figlia, bellezza incomparabile, com’ei stesso la chiama, e che tanto la vince sull’unica altra donna ch’io ho veduta, mia madre Sicora, quanto la cosa grande è superiore alla piccola.

Stef. È dunque sì gentile la fanciulla?

Cal. Sì, principe; ella converrà al tuo letto, e ti darà una bella prole.