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Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/399

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12 amleto

Fortebraccio, che, infermo e prigioniero nel suo letto, appena ha udito parlare delle mire del suo nipote. Con essi noi l’invitiamo a porre argine a quelle, conoscendo esattamente dove e quali sieno le schiere ordinate all’impresa. Voi, saggio Cornelio, e voi, Voltimando, deputiamo per recare il nostro saluto al vecchio sovrano, non concedendovi poteri personali per astringere trattati con esso, più di quelli che stan qui registrati. Partite, e la vostra diligenza ne faccia fede della vostra sommissione.

Vol. In questa e in ogni altra cosa mostreremo la nostra obbedienza a Vostra Maestà.

Re. Punto non ne dubitiamo; partite, e abbiatevi il nostro sincero addio. (Vol. e Cor. escono) Ora, Laerte, qual’è la vostra inchiesta? Una dimanda accennaste; di che avete brama? Voi non potete fare al re dei Danesi una inchiesta ragionevole e sperdere le parole. Che potete chieder, Laerte, che non vi sia offerto dal vostro re, piuttostochè da voi sollecitato? La mano non è più pronta a servir la bocca, la testa non è più sottomessa al cuore, che il trono di Danimarca nol sia a vostro padre: che desiderate, Laerte?

Laer. Formidabile sovrano, il favor del vostro consenso per tornare in Francia. Io mi sono affrettato a venir qui per porgervi omaggio nel vostro coronamento; riempito questo debito, il dirò pure, i miei pensieri e i miei voti richiamanmi verso la Francia. Essi con umiltà sottometto all’indulgenza di Vostra Altezza, la di cui grazia imploro.

Re. Avete quella di vostro padre? Che dice Polonio?

Pol. Ei tanto fece, signore, colle sue inchieste, che alfine mi ha estorto l’assentimento e la sanzione al suo voto. Vi prego di concedergli la facoltà di partire.

Re. Scegliete ora propizia alla partenza, e disponete di tutto ciò che può piacervi e rendervi pago. — Ebbene, Amleto, mio parente e figlio....

Am. (a parte) Parente troppo, figlio non tanto.

Re. Perchè quelle nubi sulla vostra fronte?

Am. Oh no, signore, non son che troppo alla luce.

Reg. Caro Amleto, dirada quelle fosche ombre, e l’occhio tuo giri sguardi amici sulla Danimarca. Non persistere a cercar sempre con quelle luci abbassate il nobile tuo padre nella polvere della tomba. Tu sai che è una legge comune che tutto ciò che vive, muore: e traversando questo mondo, passa all’eternità.

Am. Sì, signora, è una legge comune.

Reg. Se questo è, perchè ne sembri tanto mesto?