Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/122

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atto secondo 111

chiama folletto, vago spirito, date la buona ventura? Non siete voi quello?

Puck. Al vero vi apponete; io sono quel vispo spirito che erra di notte; sono quegli che celia con Oberon, e lo fa sorridere allorchè turgido e pasciuto di favi succolenti, schernisco un destriero nitrendo col tuono di una giovane e vivace cavalla. Talvolta mi appiatto nella tazza di una femminuccia, entro una piccola bolla, e quando essa vien per bere, mi appicco alle sue labbra e spando la sua birra sul suo seno avvizzito. L’avola più appassionata, raccontando la più trista istoria, mi confonde talvolta con una seggiola a tre piedi, e allora io mi sottraggo di dietro a lei, talchè ella cade, e grida in un accesso di tosse, mentre tutta la ragunata si stringe le anche, scoppia in alte risa, s’empie di gioia, starnutisce e giura che non ha mai passate ore più belle. — Ma zitto, Fata, viene Oberon.

Fat. Ed ecco anche la mia signora: oh quanto vorrei ch’ei fosse partito!     (escono)

SCENA II.

Entrano Oberon e Titania da diverse parti, entrambi col loro seguito.

Ob. Ti troverò al chiaro di luna, superba Titania.

Tit. Che dici, geloso Oberon? Fate, escite di qui; ho rinunziato al suo letto e alla sua compagnia.

Ob. Fermati, temeraria impudica; non sono io il tuo signore?

Tit. Dunque io esser debbo la Diva tua: ma io so il giorno in cui dipartito ti sei dal paese delle Fate e sotto la forma del pastor Corino rimasto ti sei assiso tutto il giorno sospirando con silvestri canne il tuo amore alla vaghissima Fille. Perchè sei tu venuto qui, abbandonando le più lontane piaggie dell’India? Solo, ben lo so, perchè la tua vanagloriosa amazzone, la tua innamorata in coturno, la tua amante guerriera disposta esser debbe a Teseo. Or tu accorri per trasfondere nel loro letto gioia e prosperità.

Ob. Come puoi tu, in nome della verecondia, Titania, rimproverarmi la mia amicizia per Ipolita, sapendo che a me è noto l’amor tuo per Teseo? Nol togliesti tu al chiaror delle stelle dalle braccia di Perigenia che egli aveva rapita? Non gli facesti tu rompere quella fede che ei data aveva alla vaga Egla, ad Antiope e ad Arianna?

Tit. Codeste sono fantasticherie gelose. Non mai dopo il sol-