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132 il sogno di una notte d’estate

vispa era troppo anche quando andava a scuola: sebbene piccola, fiera assai ell’è.

Er. Piccola di nuovo mi chiami? Parlerai ognora della mia picciolezza? Perchè permettete voi ch’ella m’insulti così? Lasciate ch’io me le ravvicini.

Lis. Via di qui, nana, embrione, erba malefica, invisibile spica.

Dem. Voi siete troppo officioso in favore di quella che sdegna i vostri servigi. Lasciatela andare: non parlate di Elena; non prendete le sue difese; perchè se pretendeste darle il più piccolo segno d’amore, lo scontereste caro.

Lis. Ebbene, ella ora non mi rattiene più: seguitemi se l’osate, e andiamo a definire chi di noi due ha più diritti sul cuore di lei.

Dem. Seguirvi? No, verrò con voi al paro. (esce con Lis.)

Er. Siete voi, donzella, la cagione di questa rissa. No, non andate.

El. Non mi fido di voi, nè resterò più a lungo in vostra compagnia. Le vostre mani son più forti delle mie per battere, ma le mie gambe son più lunghe per evitare i colpi.     (fugge)

Er. Son stupita, nè so che dirmi.     (l’insegue)

Ob. Quest’è opera della tua negligenza: sempre erri, o compi a posta tali malizie.

Puck. Credimi, re delle ombre, io fallai. Non mi dicesti che avrei riconosciuto l’uomo alle sue vesti ateniesi? Innocente sono di tal errore, perchè è un ateniese veramente di cui ho ammaliati gli sguardi: e son lieto che la sorte me l’abbia posto dinanzi, credendo che tale scena vi abbia assai ricreato.

Ob. Tu vedi che quegli amanti cercano un luogo per battersi: affrettati dunque, Robin, parti, raddoppia l’oscurità della notte, cuopri tosto la vòlta dei cieli di una spessa nebbia, di un vapore umido e nero come l’Acheronte; e fra le tenebre fa smarrire quei rivali sdegnati, attalchè non possano più incontrarsi. A ciò accudendo favella ora a guisa di Lisandro e provoca Demetrio con ironiche e amare disfide; ora schernisci Lisandro simulando la voce di Demetrio, e allontanali l’uno dall’altro tanto che alfine per la troppa stanchezza, il sonno, imagine della morte, scenda sulle loro palpebre, li cuopra colle sue ali, e pesi sovr’essi col suo peso di piombo. Ciò fatto, spremi il succo di quest’erba, e fallo cadere negli occhi di Lisandro. Questo succo ha la virtù salutare di togliere dalla vista i prestigi e le illusioni che l’affascinano, e di rendere all’occhio la sua vision naturale. Allorchè