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324 timone di atene

tributario, io regnavo sulla lingua, sul cuore e sugli occhi di più servi che non ne potessi impiegare, e che attaccati mi erano, come foglie innumerevoli lo sono alla quercia che cuoprono: ma il soffio di un inverno le ha tutte staccate dai rami, e mi ha lasciato nudo esposto ai furori della tempesta. Se un tale stato mi è doloroso, è solo perchè avevo conosciuto la felicità; ma tu, la cui esistenza cominciò fra i dolori, tu fosti necessariamente indurito ai patimenti. Perchè odieresti ora gli uomini? Essi non ti hanno adulato. Quali doni hai loro fatti? Va, se vuoi maledirli, maledici tuo padre; fa cadere le tue imprecazioni sul miserabile che nell’accidia sua s’unì a una femmina sciagurata e formò in te l’erede della sua miseria e della sua viltà. Vattene! Lungi di qui! Se non fossi nato il più indigente degli uomini, non saresti stato altro che un vile, che un adulatore. —

Apem. Ancora ti mostri superbo?

Tim. Sì, di non esser te.

Apem. Ed io di non essere stato un prodigo.

Tim. Io all’incontro d’esserlo anche ora. Se tutti i tesori del mondo fossero nascosti nel tuo petto, io direi: tesori e te all’inferno. — Perchè la vita di tutti gli Ateniesi non sta essa entro questa radice? Così la divorerei.     (mangiando)

Apem. Vuo’ migliorare il tuo banchetto.

(offrendogli qualche cosa)

Tim. Comincia dal migliorare la mia compagnia togliendomi la tua.

Apem. Così migliorerei la mia, stando lungi da te.

Tim. Non rammenderesti bene: essa non farebbe che peggiorare; se no, vorrei che ciò fosse.

Apem. Chi manderai ad Atene?

Tim. Te, trasportatovi da un turbine. Se vuoi, va a dire agli Ateniesi che non mi manca l’oro qui: vedi, ne ho.

Apem. L’oro in questo luogo non è di alcun uso.

Tim. Migliore è, e più innocente, perocchè dorme qui senza far male.

Apem. Timone, dove passi le notti?

Tim. Sotto quello che mi sta sopra. Apemanto, dove mangi il giorno?

Apem. Dove trovo da mangiare.

Tim. Oh se il veleno conoscesse la mia volontà e volesse conformarvisi!

Apem. Dove lo manderesti?

Tim. A condire le tue vivande.