Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/367

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8 il re giovanni


Gio. Recagli ora la mia e partiti in pace da questi luoghi. — Tu sarai agli occhi della Francia il lampo della folgore; imperocchè prima che tu abbia potuto annunziare ch’io v’entrerò, rimbombo del mio cannone vi si farà intendere. Animo, parti, sii la tromba nunziatrice di nostra vendetta e il foriero sinistro della vostra comune ruina. — Lo si riconduca con onore fuori de’ miei Stati. Pembroke, vegliate a ciò. — Addio Chatillon.

(escono Chatillon e Pembroke)

Elin. Ebbene, figlio mio? Non vel dissi io sempre che l’ambiziosa Costanza non troverebbe pace, finchè non avesse sollevata la Francia e il mondo per sostenere le pretese del figlio suo? Ecco quello che si sarebbe potuto prevenire. Si sarebbe potuto conciliar con mezzi facili e amichevoli la contesa, che è ora forza venga decisa dall’urto di due possenti regni, coll’esito incerto e sanguinoso delle battaglie.

Gio. Abbiamo per noi l’alto vantaggio del possedimento e del diritto.

Elin. Dite del possedimento più che del diritto; ovvero converrà confessare l’onta vostra e la mia. Sì, la mia coscienza vi mormora qui all’orecchio ciò che niun altro, tranne il Cielo, voi ed io, m’udrà pronunziare.

Entra lo Sceriffo della provincia di Northampton e parla sommessamente con Essex.

Elin. Mio sovrano, occorre la più strana controversia che mai udissi suscitata in questo paese. Le due parti chieggono che le giudichiate: le farò io comparire?

Gio. Fatelo. — (lo Scer. esce) Le nostre abbadie e i nostri priorati pagheranno le spese di questa guerra. — (rientra lo Sceriffo con Roberto Faulconbridge e Filippo suo fratello bastardo) Chi siete voi?

Fil. Vostro fedel suddito, generato nella provincia di Northampton e figlio primogenito, a quel che credo, di Roberto Faulconbridge, soldato che Riccardo Cuor-di-Leone, colla mano sua che dispensava l’onore, fece cavaliere sul campo di battaglia.

Gio. Chi sei tu?

Rob. Il figlio ed erede di quel medesimo Faulconbridge.

Gio. Egli è il maggiore, e tu vuoi esser l’erede? Voi non derivate dunque entrambi da una medesima madre?

Fil. Sì, da una madre stessa, potente re, ciò è ben noto; e voglio anche credere da un medesimo padre: ma per la certezza di tale verità la lascio al Cielo e alla mia genitrice; quanto a me, ne dubito, come ne potrebbero dubitare tutti i figli degli uomini.