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ATTO PRIMO 307

silenzio eterno, e non sia neppur onorata dal più breve è più volgare epitafio (entrano gli Ambasciatori di Francia). Eccoci ora disposti a conoscere gl’intendimenti del nostro diletto cugino, il Delfino di Francia; che di sua parte ci si dice ne salutiate, e non da quella del Re.

Amb. Vostra Maestà vuol ella permetterci di esporre liberamente l’ambasciata che ci fu trasmessa? Se ciò non è, diremo con riserva e con avviluppate parole le intenzioni del Delfino.

Enr. Un tiranno non sono, ma un re cristiano: le nostre passioni ci obbediscono in silenzio, incatenate alla nostra volontà, come i malfattori che stanno in ceppi nelle nostre prigioni: dichiarateci perciò le intenzioni del Delfino liberamente e senza alcun ritegno.

Amb. Eccole in poche parole. Vostra altezza coi suoi deputati, che ultimamente mandò in Francia, ci chiese certe duchee in nome del vostro precessore Eduardo Terzo. In risposta di ciò, il principe nostro signore, dice, che troppo vi lasciate sopraffare dalla giovinezza e vi avverte di pensar bene che non v’è in Francia alcun dominio che acquistar si possa con una danza, e che là non introdurrete le vostre orgie. Per risarcirvi poi della vostra inchiesta, vi manda come presente più conforme alle vostre inclinazioni questo tesoro, e chiede che in ricompensa di tal dono abbandoniate il pensiero di quelle duchee. Ecco ciò che dice il Delfino.

Enr. Qual tesoro è cotesto, zio?

Ex. Una botte di palle, mio sovrano.

Enr. Siam lieti di trovare il Delfino così ilare con noi, e vi ringraziamo del suo dono e delle vostre fatiche. Allorchè avremo stese le mani a quelle palle, speriamo, coll’aiuto di Dio, fare in Francia tal giuoco da abbattere la corona del re suo padre, e mandar lui fuori di lizza. Ditegli ch’ei s’è impegnato con un giuocatore tenace, che persevererà a combattere finchè lena gli resti. A meraviglia comprendiamo la riprensione ch’ei volle darne, riportandosi ai falli di nostra gioventù; ma ben non pensò all’uso che di quelli abbiamo fatto. Non mai avevamo meditato su questo trono d’Inghilterra, e lungi da esso vivendo, abbandonati ci siamo a una sfrenata licenza come incontra sempre che gli uomini vivano più lieti allorchè stanno presso gli stranieri. Ma dite al Delfino che io riprenderò la mia dignità, che mi comporterò da re, e farò sfolgorare tutto il lampo della mia grandezza, allorchè salirò sul trono di Francia. È per giungervi che, deponendo qui la mia Maestà, confuso mi sono alla oscura folla, ab-