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308 IL RE ENRICO V

bassandomi fino alle arti laboriose di questa. Ma in Francia sarò veduto risalire con tanto splendore, che abbaglierò tutti gli occhi, e il Delfino rimarrà acciecato dalla mia gloria. Dite ancora a quel principe si piacevole e gioviale, che questa sua celia ha trasformate le sue palle da mano in palle da cannone, e che la sua coscienza resterà mortalmente aggravata dalla fatai vendetta che esse recheranno ne’ suoi Stati. Codesta celia farà piangere mille vedove e mille madri, prive di consorti e di figli: essa minerà città e castelli; e generazioni non anco nate malediranno l’insultante sua ironia. Gli avvenimenti sono in mano di Dio, che prendo per mio giudice; ed è in suo nome, ditegliene, che mi pongo in via per vendicarmi con ogni mio potere, e innalzare un braccio armato di giustizia per causa legittima e santa. Ite, escite di qui in pace, e avvertite che la beffa sembrerà opera di uno spirito ben leggero e imprudente, allorchè farà versare più lagrime, che eccitati non abbia sorrisi. — Conducete questi deputati sotto sicura scorta. — Signori, addio. (gli Amb. escono)

Ex. Fu un gioviale messaggio.

Enr. Speriamo di farne arrossire l’autore: (discende dal trono) perciò, miei lórdi, non perdiamo alcun momento che possa accelerar la nostra spedizione, poichè noi non nutriamo più ora altro pensiero che quello della Francia, adempito che avremo ai nostri obblighi verso Iddio. Raduniamo prontamente l’esercito necessario a tal guerra, raccogliamo tutti i mezzi che possono affrettare la nostra vittoria: nostro intento è, ne attesto il Cielo, di castigare il Delfino, alle porte di suo padre. Pensi ognuno di voi al da farsi, e si apparecchi a questa bella opera. (escono)