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Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/707

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346 IL RE ENRICO V

gierassi alle umili genuflessioni d’un supplicante? Puoi tu, quando comandi a un misero di prostrartisi dinanzi, imporre anche alla sua salute di obbedirti? No, sogno orgoglioso, che togli sì spesso ai sovrani la loro quiete: io pure son re, io, che ti strappo la maschera e ti annullo: io so che l’unguento che consacra il re, so che lo scettro, l’imperiai globo, la spada, il bastone del comando, la regia corona, la porpora intessuta d’oro e di perle, i titoli rimbombanti, il trono e tutto il fasto che va congiunto al nome d’un monarca, so che tutto ciò noi fa dormire di sonno lieto, qual è quello dell’ultimo de’ suoi coloni, che, collo spirito sgombro e il corpo sazio del pane dell’indigenza, va a cercare il riposo, e non si risveglia per vedere l’orribile spettro della notte, figlia d’inferno, ma col giorno sorge e fino al tramontar di esso si bagna di sudore, continuando vita uniforme di pace e di fatica. Chi è più felice adunque fra un re ed un pezzente? A chi dei due fu più largo il Cielo di serenità e di gioie?

(entra Erpingham)

Erg. Principe, i nobili, gelosi di vostra assenza, percorrono il campo per trovarvi.

Enr. Buon vecchio cavaliere, correte tosto a radunarli nella mia tenda: ivi sarò giunto prima di voi.

Erp. Così farò, mio signore. (esce)

Enr. Oh Dio delle battaglie, dà la tempera dell’acciaio al cuore de’ miei soldati! Togli ad essi il sentimento della paura! Togli loro la facoltà di contare, se il numero de’ nemici dovesse agghiacciare il loro sangue! Non oggi, o mio Dio! non risovvenirti oggi del fallo che mio padre commise per posseder la corona! Nuovi onori ho renduto alle ceneri di Riccardo, e versato ho su di lui più lagrime di pentimento, che il mortal colpo non facesse escire dal suo seno stille di sangue: spargo ogni dì una elemosina a cinquecento poveri che innalzano le scarne loro mani al Cielo, per pregarlo di perdonare il commesso fallo: erette ho due chiese in cui austeri sacerdoti intuonano canti solenni pel riposo dell’anima di quel re, e di più anche farò, sebbene, oimè! tutto quello che far posso non sia d’alcun valore, e il pentimento sorga ancora dopo l’espiazione! (entra Glocester)

Gloc. Mio sovrano!

Enr. È la voce del mio fratello Glocester quella che intendo? Sì; — conosco il tuo messaggio, e verrò con te. — Il giorno, miei amici, ed ogni cosa mi è propizia. (escono)