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atto quarto 69


SCENA III.

Il campo francese nelle vicinanze di Douvres.

Entrano Kent e un Gentiluomo.

Kent. Sapete perchè il re di Francia sia così subitamente tornato indietro?

Gent. Per attendere a certe cure del suo Stato, di cui non si era rammentato partendo. Il timore di espor la Francia a qualche gran pericolo mercè una più lunga dimora, ha precipitato il suo ritorno.

Kent. E qual generale lasciò in sua vece?

Gent. Il maresciallo di Francia, monsieur Le Fer.

Kent. Leggendo le mie lettere diè la regina qualche segno di dolore?

Gent. Oh! signore, essa le prese, le percorse a me dinanzi, e vidi di tratto in tratto le sue delicate gote inondate di lagrime. Nullameno sembrava voler vincere il proprio affanno, che qual ribelle cercava impadronirsi della sua signora.

Kent. Fu ella dunque assai commossa?

Gen. Commossa, ma non sino al furore. La pazienza e l’ambascia sembravano disputarsi l’impero della sua dolce anima. Qualche volta avrete veduto una rugiada di pioggia scendere dal cielo in mezzo ai raggi del sole? Ebbene, il suo sorriso e i suoi pianti confusi insieme rammentavano un’iride del mese delle voluttà1. Il riso affettuoso che errava sui suoi labbri vermigli, pareva ignorar le lagrime che sgorgavano da’ suoi occhi, pure e terse come altrettante perle staccate da due diamanti: in breve, il dolore sarebbe la cosa più incantatrice di questo mondo, se avesse in tutti i volti le grazie che rivestiva sul suo.

Kent. Nè un sol lamento le uscì?

Gent. Sì; parecchie volte un sospiro portò fino alla sua bocca il nome di padre, come se questo nome le avesse oppresso il cuore; quindi gridava: Sorelle, sorelle! disonore del mio sesso! Oh sorelle! Kent! padre mio! durante la notte!... fra il ruggir della tempesta!... oh! la pietà noi possa credere giammai! Poscia tergeva le lagrime che scendevano da’ suoi occhi celesti; nè potendo più raffrenare l’ambascia del cuore, corse a chiudersi nelle sue stanze.

  1. Il maggio.