Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, V-VI.djvu/110

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ATTO SECONDO 101


Gloc. Vorrete voi, sir Giovanni, addolcire colà la sorte della mia infelice sposa?

Stan. Per quanto mi sarà dato di farlo, mio signore.

Gloc. Siatele cortese, ve ne prego; la fortuna può ancora volgersi a me, ed io posso vivere abbastanza per compensarvi della vostra bontà. Addio, sir Giovanni

Duch. Voi partite, milord, senza pure abbracciarmi?

Gloc. Le mie lagrime ti dicano ch’io non posso fermarmi di più. (esce coi Dom.)

Duch. Tu ancora sei partito? Ogni conforto svanisce con te! Nulla più mi rimane; la mia sola speranza è riposta nella morte; nella morte, al di cui nome tante volte ho fremuto, perchè io desiderava l’eternità di questo mondo. — Stanley, te ne prego, partiamo; non vale dove sarò condotta; non chieggo grazia: guidami dove ne hai comando.

Stan. È all’isola di Man, signora, dove avrete il trattamento che vi si debbo.

Duch. Duro ei sarà, perocchè ignominioso è il mio stato: mi li userà dunque tanto rigore?

Stan. Non più di quello che si addica al vostro grado ed alle vostre nozze.

Duch. Sceriffo, addio: sii più felice di me, quantunque questo giorno ti abbia veduto presiedere alla mia onta.

Stan. Fu l’ufficio mio, signora: vogliate perdonarmelo.

Duch. Va, addio; quell’ufficio è compiuto. Partiamo, Stanley?

Stan. Signora, ora che avete subita la vostra pena, gittate via quella tonaca, e venite ad indossare panni più dicevoli.

Duch. Deponendo quest’abito non mi laverò del mio disonore: questo rimarrà sempre sopra ogni mio vestito, qual che ne sia la ricchezza. Andate, precedetemi; desidero di vedere la mia prigione. (escono)