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128 IL RE ENRICO VI

Cade. £ voi che amate il popolo venite meco. Ecco il momento di mostrare che siete uomini; è per la libertà che combattiamo; non lasciam vivo un solo di coloro. Inibisco la clemenza; e vo’ che non si salvi la vita altro che a quelli che portano cinti di pelli di bestie e scarpe di vacchetta; perchè son poveri e onesti cittadini che si accordano con noi e si porrebbero dalla nostra parte se ne avessero il coraggio.

Dick. Essi sono schierati e ci vengono contro.

Cade. Il nostro ordine è il disordine. Avanti, avanti.

(escono)


SCENA III.

Altra parte di Blackheath.

Allarme. — Le due parti entrano e combattono; i due Stafford rimangono uccisi.

Cade. Dov’è Dick, il beccaio di Ashford?

Dick. Presente.

Cade. Costoro cadevano innanzi a te come bovi e montoni, e tu adoperasti come se fossi stato nella tua beccheria: per questi fatti io vo’ ricompensarti: la quaresima durerà il doppio di quello che ora dura, e ti sarà concesso di uccider cento bovi, meno uno.

Dick. Di più non desidero.

Cade. E a dir vero non meriti meno. Questo monumento di vittoria vo’ io portare (togliendo il pennacchio a Stafford): e i loro corpi saranno trascinati alle calcagna del mio giumento, finchè io non sia giunto a Londra dove intendo si rechi dinanzi a me la spada del prefetto.

Dick. Se vogliamo avvantaggiarci e prosperare, rompiamo nel nostro passaggio le porte di tutte le prigioni, e liberiamo quelli che vi sono racchiusi.

Cade. Non temere ch’io l’obblii. Vieni, andiamo a Londra.

(escono)