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ATTO TERZO 361

stenza in rimetterci il gran sigillo, il re ne sarà istruito, e senza dubbio saprà esservene grato. Addio, mio buon lord cardinale.

(tutti escono tranne Wolsey)

Wol. Addio al poco bene che mi volevate! Addio, addio per sempre a tutte le mie grandezze! tale è il destino dell’uomo: fragile arboscello! Oggi germogliano le tenere foglie della speranza, dimani spuntano i bottoni e i fiori, ed ei si copre di tutta la sua lietezza di primavera: ma al terzo mattino sorviene una brezza omicida, un gelo ingrato, e allorchè nella sua credula semplicità imagina aver fermata la sua grandezza e toccare a maturazione, il freddo s’insinua e rapisce ogni vita alle radici, talchè gli è forza cadere, come oggi io cado. — Simile a quegli imprudenti fanciulli che nuotano sopra otri pieni d’aria, rischiato mi sono nei bei giorni del mio estate sopra un oceano di gloria in guisa da perdere il fondo, obblievole della mia altezza naturale. Che n’è seguito? Il mio orgoglio gonfio di vento è scoppiato, e mi ha lasciato oppresso di fatiche, in balìa d’una corrente impetuosa che mi ingoierà. Pompe vane, frivole grandezze di questo mondo, io vi abborro! Sento che il mio cuore si è da poco aperto alla luce e alla verità! Oh! quanto è misero l’uomo che si riposa sul furore dei re! Fra il sorriso al quale aspiriamo, fra il dolce sguardo di un monarca e la nostra rovina, stanno più palpiti e terrore che non ne cagioni la guerra, più dolori e mali che non ne provino le deboli donne; e allorchè lo sfortunato precipita, ei precipita come Lucifero, senza speranza e per sempre. (entra Cromwel costernato) Ebbene, Cromwell?

Crom. Non ho forza di parlare, signore.

Wol. Oh! allibbisci tu alla vista de’ miei infortuni? Puoi tu tanto meravigliarti, se un potente cade? Ah! se tu piangi, io son perduto senza riscatto.

Crom. Come vi sentite?

Wol. Assai bene; non mai fui così felice, mio caro Cromwell. Ora io ben mi conosco, e provo al di dentro di me una pace che è al di sopra di tutte le dignità della terra, una coscienza placida e tranquilla. Il re mi ha guarito; umilmente lo ringrazio, e sento questi omeri, colonne rovinate dagli anni, alleggiate di un peso che avrebbe fatto crollare tutto l’edifizio. Gli onori sono un carico troppo grave per un uomo che aspiri al Cielo!

Crom. Sono ben lieto di vedere che Vostra Grazia abbia saputa volgere in così buon uso le sue sventure.

Wol. Almeno lo spero. Ora parmi, dal coraggio che sento in me, di poter sopportare mali assai più gravi, mali assai mag-