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190 I DUE GENTILUOMINI DI VERONA

resse alla sorte di Giulia. Oimè! come un cuore innamorato cerca d’ingannar se stesso! Ecco il suo ritratto: ch’io lo vegga; credo che la mia testa, se fosse adorna, sarebbe bella del pari. E nondimeno il pittore l’ha un poco adulata, se troppo io non mi adulo. La sua capellatura è castana, la mia bionda come l’oro; e se quest’è la cagione della incostanza di Proteo, vuo’ tingermi i capelli del colore de’ suoi. I suoi occhi sono grigi come il vetro, e i miei pure lo sono. Ella ha la fronte angustissima, e la mia è spaziosa. Che v’ha dunque che tanto piaccia in lei ch’io non trovi del pari amabile in me, se il pazzo amore non fosse mi Dio cieco? Ombra di te medesima, impadronisciti di quest’ombra nemica; è la tua rivale. Oh! tu, ritratto insensibile, tu sarai baciato, carezzato, adorato, e se potessi avere coscienza delle adorazioni di Proteo, vorrei mutarmi nella tua vana effigie. Ti tratterò bene a cagione della tua signora, che con bontà mi ha trattata; altrimenti, lo giuro a Giove, t’avrei divelti quegli insensibili occhi per impedire al mio signore di amarti.

(esce)