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ATTO SECONDO 225


SCENA III.

Il campo greco. — Dinanzi alla tenda d’Achille.

Entra Tersite.

Ter. Ebbene, Tersite? Tu ti smarrisci nel labirinto del tuo furore? Quell’elefante d’Aiace ne escirà egli a sì buon patto? Ei mi crucia ed io lo beffo: bel compenso affè! Vorrei mutar parte con lui; vorrei batterlo io e ch’egli mi schernisse. Per l’inferno! apprenderò a scongiurare e ad evocare i demoni piuttosto che veder senza effetto le imprecazioni della mia collera. E questo Achille ancora!.... Leggiadra macchina da guerra! Se Troia non è presa che quando questi due assediatori avran minate le sue fondamenta, le sue mura si sosterranno fino a che cadano da loro stesse. — Oh tu gran scaglia-fulmini, obblìa d’esser Giove re degli Dei; e tu, Mercurio, dimentica l’astuzia dei serpenti attorcigliati intorno al tuo caduceo, e venite entrambi da questi due campioni ad imparare cosa sia forza e destrezza. Ma chiamiamo costoro. — Olà, Achille! (entra Patroclo)

Pat. Chi è costà? Tersite! Buon Tersite, entra e vieni a rallegrarne.

Ter. (a parte) La maledizione che pesa su di tutto il genere umano cada sopra di te largamente! Il Cielo voglia lasciarti senza alcun tutore, onde la prudenza ti rimanga sempre sconosciuta. L’ardore del tuo sangue ti sia sola guida sino alla morte: e allora se quella che ti sepellirà dice che sei bello, giurerò ch’essa non avrà mai sepolto che lebbrosi. Così sia. — Dov’è Achille?

Pat. Sei tu divenuto devoto? Oravi dianzi?

Ter. Sì, e prego il Cielo che m’ascolti. (entra Achille)

Ach. Chi è qui?

Pat. Tersite, signore.

Ach. Dove, dove? Sei tu venuto? Perchè mio cacio, mio sussidio alla digestione, non sei stato posto colle altre vivande sulla mia mensa? Su via, dimmi che cosa è Agamennone.

Ter. È il tuo duce. Achille: dimmi tu, Patroclo, che cosa è Achille?

Pat. Il tuo signore, Tersite; palesami ora che cosa sei tu stesso.

Ter. Un uomo che ti conosce, Patroclo; e che sei tu?

Pat. Lo potrai dire se ti son noto.

Ach. Oh! dillo, dillo.