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382 LA MALA FEMMINA DOMATA

letto, e lo getterò tatto per aria, simultando la maggior collera del mondo. In mezzo a tante follie dirò che quello che faccio, lo faccio per lei, e griderò, e farò il demonio, perchè non possa dormire. Quest’è il vero segreto per domare una donna ribelle. Se qualcun altro ve ne fosse più mite, sarei ben lieto d’apprendarlo; e carità sarebbe l’insegnare un tal segreto. (esce)

SCENA II.

Padova. — Dinanzi alla casa di Battista.

Entrano Tranio e Ortensio.

Tran. Possibile, amico Licio, che Bianca ami un altro? Vi dico ch’io nutro intorno a lei le più belle speranze.

Or. Per provarvi la verità di quello che v’ho esposto, venite in disparte, ed osservate in qual modo egli le insegna. (si ritirano; entrano Bianca e Lucenzio)

Luc. Ebbene, approfittate voi di quello che leggete?

Bian. Che cosa leggete voi? rispondetemi prima.

Luc. Io leggo quel che professo, l’arte d’amare.

Bian. Possiate divenir maestro in tale arte.

Luc. Oh! lo diverrò, cara Bianca, se voi sarete la sovrana del mio cuore. (s’allontanano)

Or. (avanzandosi) Essi vanno innanzi presto in verità. Che ne dite ora voi, ve ne prego, voi che osavate giurare che Bianca non amava al mondo altro che Lucenzio.

Tran. Oh maledetto amore! Oh sesso incostante! Vi dico il vero, Licio, ch’io ne rimango stupido.

Or. Non v’illudete più a lungo: io non sono Licio, nè sono un maestro di musica, come sembro: sono un uomo che sdegna di continuare questo travestimento per amore d’una fanciulla, che preferisce a un gentiluomo un vil plebeo. Imparate, signore, ch’io mi chiamo Ortensio.

Tran. Signor Ortensio, ho spesso inteso parlare del vostro affetto per Bianca, e poichè i miei occhi son testimoni della sua leggerezza, vuo’ insieme con voi, se ciò vi piace, ripudiare Bianca e l’amore.

Or. Mirate come si accarezzano! Signor Lucenzio, ecco la mia mano; e con essa il giuramento irrevocabile di non più farle la corte, ma di rinunziare a lei, come ad un oggetto indegno degli omaggi che le ho fin qui prodigati.