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138 MISURA PER MISURA

una tonaca, e insegnatemì come debbo comportarmi per aver in tutto l’aspetto di un frate. Vi esporrò in altro momento, e con maggior agio, nuove ragioni per questo mio stratagemma; per ora vi valga questo ch’io sto per dirvi: Angelo è austero; ei si vanta d’ogni virtù: noi vedremo se il potere altera il suo carattere, e se sono veramente stimabili gli uomini che hanno così belle apparenze. (escono)

SCENA V.

Un Monastero.

Entrano Isabella e Francesca.

Is. E son qui tutti i vostri privilegi?

Fran. Non bastano forse?

Is. Sì, certo; e non parlai perch’io ne desiderassi di più: vorrei anzi che le suore di santa Chiara fossero soggette ad una regola più stretta.

Luc. (dal di dentro) Olà! La pace sia in questo luogo!

Is. Chi chiama?

Fran. È la voce di un uomo. Gentil Isabella, volgete la chiave, e dimandate quello che vuole; voi lo potete, io no; voi non avete ancora proferiti i vostri voti; allorchè l’avrete fatto, non vi sarà più permesso di parlare ad un uomo che in presenza della superiora; e parlandogli, non potrete mostrargli il viso. — Chiamano di nuovo; vi prego di rispondergli. (esce)

Is. Pace e prosperità! Chi è là? (entra Lucio)

Luc. Salute, vergine, se lo siete, come queste guancie di rose annunziano. Potreste farmi la grazia di indirizzarmi ad Isabella, novizia in questo monastero, e amabile sorella dello sfortunato Claudio?

Is. Perchè dite sfortunato Claudio? Spiegatevi tosto, perchè io son quella sorella di cui parlate.

Luc. Vaghissima e bella novizia, vostro fratello vi fa assapere mille cose, e per non abusare della vostra pazienza, dirovvi senza più che è prigione.

Is. Oimè me! e perchè?

Luc. Per un’opera di cui io lo ricompenserei anzichè punirlo, se fossi suo giudice: egli incinse una fanciulla.

Is. Signore, non vi fate beffa di me.

Luc. Quello che vi dico, è vero. Con una vergine non mentirei. Io vi reputo come cosa consacrata al Cielo, e già santifi-