Vai al contenuto

Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, VII.djvu/168

Da Wikisource.

ATTO TERZO 159

tuosa; la bellezza che si prodiga a un prezzo vile appassisce in breve cessando di essere onesta; ma il pudore che è l’anima della vostra persona manterrà nella vostra beltà una giovinezza perpetua. Il caso mi ha fatto udire il colloquio che aveste con Angelo, e senza gli esempii che abbiamo della umana debolezza, molto stupirei di quel ministro. Come farete per soddisfare quel potente, e per salvare vostro fratello?

Is. Ve lo dirò tosto; preferirò che mio fratello soffra la condanna della legge, anzichè io abbia a riguardare in mio figlio come in un frutto illegittimo del vizio. Ma oimè! quanto ingannato è il buon duca da quell’Angelo. Se egli mai ritorna, e ch’io possa parlargli, smaschererò ai suoi occhi quel vile ministro.

Duc. Sarà bene che lo facciate, ma egli deluderà la vostra accusa. Dirà che non fece che per provarvi; onde ascoltatemi. Il desiderio che ho di giovarvi mi suggerisce un disegno. Io sono convinto che voi possiate senza mancare all’onestà rendere un servigio importante a una donna infelice, che ne è degna; conservare immacolate le grazie e l’innocenza della vostra bella persona, e meritare il favore del duca, se mai egli ritorna e che venga istrutto di questo negozio.

Is. Apritemi il vostro pensiero; compirò tosto quello che non abbia in sè nulla di riprovevole.

Duc. La virtù è piena d’intrepidezza, e un’anima nobile non conosce il timore. Non avete voi inteso parlare di Marianna, sorella di Federigo, quel guerriero illustre che morì in un naufragio?

Is. Ne intesi parlare, e con molta stima.

Duc. Ebbene, quella donzella doveva esser maritata ad Angelo; ei le aveva impegnata la fede con giuramento solenne; gli apparecchi eran fatti, il giorno delle nozze fermato. In quell’intervallo dal contratto alla celebrazione degli sponsali, suo fratello annegò, e il suo vascello portava la dote che ella doveva avere. Conseguenza di tale sventura fu la perdita di un fratello che l’aveva sempre amata, la povertà che l’assalse, e l’abbandono dell’ipocrita Angelo.

Is. Possibile che egli così la lasciasse?

Duc. Ei la lasciò fra le lagrime, e non gliene deterse una colla più piccola consolazione; ha dimenticati i suoi giuramenti, dicendo d’avere scoperte in lei pecche antiche; in una parola, l’ha abbandonata in preda ai suoi gemiti, senza più darle un pensiero.

Is. Qual merito avrebbe la morte, togliendo quella sfortunata dal mondo! Qual corruzione della società il lasciar vivere simili perfidi! Ma a che volete venirne con tal racconto?