Pagina:Saggio di racconti.djvu/154

Da Wikisource.
146 racconto undecimo

quell’ora salvarla dai traditori di dentro e dalle masnade che da lungo tempo la tenevano assediata, avide di aver presto a saziare con le cose più preziose dei Fiorentini la loro inesauribile ingordigia1. Cosicchè dopo tanto sangue sparso in undici mesi d’assedio, dopo infinite agitazioni intestine, dopo tante privazioni sofferte, di fame, di peste e di stenti, dopo avere nel periodo di soli 3 anni (dall’Agosto 1527 all’Agosto del 1530) a forza di contribuzioni straordinarie forniti per le spese di guerra 1,416,500 fiorini d’oro, dopo tutto ciò Firenze finalmente dovè abbassare la fronte a’ suoi interni ed esterni nemici»2.

Allora i patti della capitolazione non osservati, l’esilio, la confisca, il patibolo, e il più iniquo, il più vile fra i despoti, quell’Alessandro supposto nipote di Clemente VII, a governarla con tirannide luttuosa. Non ci volle meno delle forze tedesche e spagnuole sotto Carlo V potentissimo imperatore, delle false lusinghe e dell’abbandono del re di Francia, dell’odio dei popoli circostanti collegati con gli stranieri, delle interne discordie, del tradimento del generale, per abbattere una sola repubblica già debole, già travagliata da lunghi mali!


  1. «Firenze, gridavano quei masnadieri, prepara i tuoi broccati d’oro, noi veniamo a comprarli a misura di picche.» Segni, St. Fior.
  2. Repetti op. cit. V. II, pag. 218.