Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/18

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il dolore siasi il nostro elemento, ma non so appagarmi interamente dell’enunciata loro diffinizione del piacere, siccome di quella, che barbaramente, ne ristringe il suo impero. Forse sarà vero, che il piacere nasce dal dolore, come tra le spine la rosa, ma perchè si dovrà stabilire la necessità di un istantaneo passaggio da questo a quello stato, onde n’abbia a risultare la sensazione del diletto? L’esser pronta improvvisa rapida questa cessazione farà bensì, che il piacere successivo sarà vivo, e forte in ragione dell’intensione del dolore calmato, e della rapidità della vicenda; ma, se invece questa cessazione sarà lenta, io non so vedere, perchè in tal caso il piacere non abbia guadagnare in durata quanto perderà in intensione; e perchè non si possano chiamare le sensazioni piacevoli, che non son forti abbastanza per aver un vocabolo particolare, piaceri innominati, come si son chiamati dolori innominati l’inquietudine d’animo, la melanconia, e la noja. Converrò dunque con essi, che pur troppo i dolori innominati ci perseguitano, ma sollecito eziandio della mia, e dell’altrui felicità non mi farò ad accordare, che quando leggo gli scritti di qualche ingegno immortale, che a poco a poco, e non rapidamente faccia tacere nella mia anima


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