Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/17

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po lunghe, e replicate indagini dovettero quelli confessare, che l’essenza del dolore ostinatamente loro si celava, e quindi non aver potuto iscoprire la vera cagione, per cui l’uomo, come ogni altro essere animato, sia dalla sensazione dolorosa indotto a gridare, e a fuggire. Quantunque però mancanti di questa essenziale cognizione, come di molt’altre in siffatto argomento, nulladimeno la più parte convennero nell’opinione, che il dolore siasi lo stato abituale dell’uomo, ed il piacere una cessazione rapida del dolore. Partendo da questi principiFonte/commento: Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/61 ne trassero la conseguenza, che tutte le affezioni, per cui l’uomo desidera, spera, o teme, altro non sono che isvariate modificazioni del dolore, più o meno veementi, chiamate pena angoscia tormento, se forti, ed intense, e noja o melanconia, se languide, e leggeri. Queste ultime benchè non abbiano de’ vocaboli, che l’une dall’altre distinguano (non essendo possibile l’esistenza di una lingua sì ricca, che per ciascuna gradazione somministri una parola, che ne risvegli l’idea precisa) pure non lasciano per ciò di appartenere alla classe delle sensazioni dolorose, e sono da loro chiamate dolori innominati.

Io convengo di buon animo con esso loro, che

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