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Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/48

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Ma, che vo io annoverando li prodigj da sì gentile passione operati nelle passate età, come se tuttodì essa pur non agitasse le nostre fibre, non spignesse tuttavia gli uomini ad azioni forti, e generose, e non li ritraesse ancora sdegnosa dalle vili, ed abiette? E qual havvi pruova più convincente del retto fine cui essa è destinata, che il vederla abborrire costantemente di stanzare nell’anime vulgari, ed eleggere invece per suo soggiorno quelle sole, che ingentilite dallo studio solerte, e dal meditare tenace fremono d’orrore all’aspetto d’atto sozzo, ed infame, palpitano per gioja soave all’udir fatto magnanimo, piangono pietose all’altrui pianto, e nulla lasciano intentato per dare all’infelice conforto? Questi soli sono gli esseri, cui amore fa degni degl’infocati suoi strali. Chi nutre un cuore di ferro, chi è sordo alle grida della compassione, non tema. Egli avrà l’amore sulle labbra, ed albergherà nel suo petto la sonnacchiosa indifferenza. Ben mille volte beati coloro, cui scambievole, pura, e nobile fiamma tragge ad amarsi! Oh ben degni d’invidia, poichè in voi cresce con la stima l’amore, ed il bisogno della stima ad essere virtuosi vi consiglia! Qual azione magnanima verrà ardua ad eseguirsi per colui, che


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