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sciosi sospiri, pe’ quali amendue i servi oltremodo erano crucciosi e dolenti non sapendo cica della ragione. Ora un dì mentre questa pittima cordiale era tuttavia nella sua beva, venne a lui un certo suo castaldo portandogli non so che danajo, e d’uno in altro discorso passando con esso, costui innavvedutamente incominciò la provvidenza di Domeneddio a benedire, che il formento avea a buonissimo prezzo ridotto, aggiungendo a ciò mill’altre cose a sé favorevoli. Il qual ragionare udito il Cavaliere ed andandosene preso alle grida, mancò poco che non isvenisse di dolore e di rabbia; pur si trattenne, ma partito alquanto che fu da Lui il castaldo, più non poté raffrenar il dolore; laonde, senza altro volersi del fatto chiarire, andò a socchiudersi nella stanza sua, ove quasi lupo arrabbiato si diede a stridere ed urlare, mandando voci di compassione fino al Cielo e disperato imperversando come se ogni suo tesoro a perdere avuto avesse per lo scapito che fatto avea, sebben a paragone delle molte sue ricchezze non era che un bel nulla, intantoché di lui la fiera passion tiranna avendo preso possesso, il fece pigliar partito d’appiccarsi.

Era ivi nella stanza per mala ventura un architrave, che secondo la vecchia usanza dall’uno all’altro lato delle pareti passando l’altre a sé minori travi sosteneva, fitto alla quale dall’uno de’ canti spenzolava una lunga corda forte di pelle bovina, che a sostenere qualunque

s'è