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s’è gran peso atta era; addocchiata perciò che l’ebbe, incominciò di farle tanti nodi fino che la ridusse di quella lunghezza che al suo intento gli parve opportuna; indi adattatovi sotto uno scanno, vi salì sopra e, rassettatosi al collo la corda aggiustata a mo’ di laccio, diede de’ piedi nello scanno e, cacciandosel di sotto, mise grandissimo fracasso, a cui il servo prestamente accorrendo e trovando il Padrone stranamente ivi appeso, fattosi coraggio, diede di piglio a non so che fosse di tagliente, e recisa la corda, non sostenne per quella volta che e’ dovesse dar beccare a’ polli del Prete, e recatolo sul letto e riscaldandolo attese a richiamare con aceto ed acqua fresca quell’anima rea ad abitare novellamente nella sua sede; la qual, come poco stette a ritornarvi, l’indiavolato avaronaccio boja, poiché ebbe gli occhi strabuzzati al cielo rivoltosi allo stalliere: «Chi fu, chi fu – gridò - che me tolse al riposo?»; a cui il servo: «A questa fiata l’aveste a buon mercato, Messer lo Cavaliere, onde a me si conviene fare buona mancia, che oltre l’avervi io all’ignominia tolto, alla morte eziandio vi ho rubato». Al che con torvo ciglio nuovamente soggiunse l’avarone: «La mancia, che a te s’aspetta, ella è che tu mi pagherai la corda che di tagliar osasti, la quale, bella e nuova essendo, non vale quel poco che tu ti dai scioccamente a credere». Il servo, che a somma fortuna a sé

avea