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Messere, assai prove già mi deste voi; ma questa io la considero per maggiore di tutte l’altre, intantoché, fino che quest’ossa reggeranno, vi sarò sempre tenuto, e mai non fia che dimentico ne viva; ma poiché piacevolmente più oltre di mie passioni mi sforzate a dire, ed eziandio rimedio per esse pensate avere, io a puntino, come sta la bisogna, a raccontarvi mi faccio, se sanabile il male sia o no, al Cielo e a voi ne rimetto poi la cura. So che la origine vi parrà strana; ma uditela, e ne stupite ancora poscia. Voi a sapere avete dunque ch’io allora, quando ancor fanciulletto la scuola incominciai di frequentare, solea co’ miei amici condiscepoli andarmene a diporto, quando pe’ vialetti del giardino con bastoni dietro a vipistrelli correndo e quando stanco sedermi sopra l’erbe molli d’un ameno pratello, ove degli stridenti grilli copiosissima caccia si faceva, che poi in picciole gabbie racchiusi meco godeva alle paterne case recare. Ora in questo loco mi ricorda appunto (ahi misero a me! quale spiacevole ricordanza è mai questa!) mi ricorda, io dissi, che una fiata sull’imbrunire della notte, stanco più del costume essendo, sulla nuda terra mi posi a sedere, e addormentaimi. I Genitori miei, che la cura riposta aveano nello staffiere, come quelli che menavano vita cavalleresca, nulla o poco di me avendo ricerco, per quella notte all’aria fosca riposarmi lasciarono. Ora, appena il Pianeta maggiore

spandeva